Ciao Diego, mito controverso del calcio
Roma, domenica 8 luglio 1990. Allo stadio Olimpico, poco dopo la finale della Coppa del Mondo vinta dalla Germania Ovest sull’Argentina, a far da controcopertina televisiva alla terza competizione mondiale conquistata dalla selezione tedesca occidentale è il volto piangente di Diego Armando Maradona (spentosi oggi all’età di 60 anni per un arresto cardiaco, ndr.)
Quel pianto, trattenuto faticosamente per il mancato bis Mondiale (4 anni prima, infatti, lo vinse in Messico, proprio contro i teutonici), segnò simbolicamente l’inizio della fine per colui che contese a Pelè il titolo di migliore fuoriclasse di tutti i tempi.
Ne fu prova la prima sospensione nel 1991 per uso di eroina, quando ancora era in forza al Napoli, e la seconda volta, nel 1994, quando risultò positivo al doping con l’Argentina al Mondiale in Usa.
Di mezzo a quei due momenti, il Pibe de Oro (con l’aiuto del Siviglia prima e del Newell’s Old Boys poi) cercò di tornare a nuova vita calcistica.
Ma cosi non fu. Sia per una tormentata vita privata che per una salute divenuta sempre più precaria, dopo il suo ritiro da calciatore.
Appese le scarpe al chiodo, Maradona cercò di rialzarsi per una nuova vita calcistica, questa volta nella veste di allenatore. Ma, pur con il suo carisma da calciatore, prima da commissario tecnico dell’Argentina e poi da allenatore del River Plate e recentemente del Gimnasia Club, non riuscì a sfondare la rete come nel Boca Junior, nel Barcellona e nel Napoli.
Ragion per cui, dover scrivere di Maradona equivale a tracciare la parabola ascendente e discendente di una delle figure più controverse nella e della Storia del Calcio.