Bari, sentenze definitive per 16 affiliati al clan Parisi di Japigia
La polizia di Stato ha eseguito 16 provvedimenti definitivi di pena nei confronti di altrettanti soggetti condannati con sentenza definitiva a seguito della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione a pene residue che vanno da 3 mesi a 13 anni di reclusione.
I soggetti sono stati ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, concorso esterno in associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, detenzione e porto di arma comune da sparo aggravata dal fine di agevolare un’associazione di tipo mafioso, lesioni personali, violazione di domicilio, invasione di terreni ed edifici, furto e furto in abitazione, illecita concorrenza con minaccia e violenza in concorso e aggravata dal metodo mafioso, favoreggiamento e minaccia.
L’attività odierna, cha ha interessato Bari e altre province del territorio nazionale, è l’epilogo giudiziario dell’operazione “Do ut Des”, indagine sviluppata dalla squadra mobile di Bari che portò, nel marzo 2016, all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 31 soggetti ritenuti responsali, a vario titolo, dei reati sopra descritti.
Le indagini hanno documentato l’operato criminale del clan Parisi, operativo a Bari e in alcuni comuni della provincia che, attraverso il capillare e sistematico controllo del territorio, ha gestito in situazione di monopolio numerose attività illecite.
L’egemonia del clan nelle area di influenza era sviluppata in maniera variegata, anche attraverso il monitoraggio e la gestione degli alloggi di edilizia popolare e, soprattutto, attraverso l’infiltrazione all’interno dei cantieri edili.
Le dichiarazioni rese da alcuni imprenditori taglieggiati, nonché le numerose attività tecniche, hanno consentito di acquisire convergenti e univoci elementi di responsabilità a carico di una struttura criminale, diretta e organizzata da Savinuccio Parisi, con base operativa nel quartiere Japigia di Bari, dedita a commettere in via continuativa estorsioni nel settore dell’edilizia attraverso condotte gravemente intimidatorie, seppur non sempre commesse con atti di violenza fisica.
L’indagine ha portato alla luce un sistema che vedeva gli stessi imprenditori edili interagire direttamente e senza alcuno scrupolo con i vertici del clan pur di ottenere commesse e impiego, alterando in maniera significativa le regole di mercato e della libera concorrenza.
Le investigazioni hanno documentato ampiamente come il clan si insinuava, sfruttandola, nell’attività dell’imprenditoria edile barese, finendo per operare scelte aziendali di rilievo, imponendo ditte di fiducia o addirittura “imprese mafiose”, così determinando indirettamente anche i prezzi di forniture e opere, sui quali poi pretendere una percentuale, secondo un preliminare accordo sinallagmatico.
Dal complesso degli atti di indagine è emerso con chiarezza che le estorsioni venivano realizzate non più o non solo tramite la richiesta violenta del “pizzo” – o dell’assunzione di un guardiano scelto tra gli uomini di fiducia del sodalizio criminale -, ma attraverso un sistema articolato di relazioni degli appartenenti al clan Parisi con gli imprenditori del settore edile che prevedevano l’imposizione delle ditte che dovevano aggiudicarsi i subappalti o le commesse di forniture e lavori. Un sistema estorsivo che includeva il coinvolgimento di imprese “amiche” e che consentiva al clan di lucrare sui ricavi dei subappaltatori imposti e che avevano ottenuto la commessa.
Le condanne riguardano gli esponenti apicali del clan Parisi, compreso l’indiscusso capo dell’organizzazione criminale indagata, raggiunto dalla notifica del provvedimento mentre si trova detenuto nel carcere di Terni per la stessa causa.