La poesia per fotografare i “frammenti di un precario”: intervista a Giuseppe Di Matteo
Fotografare una realtà precaria a colpi di versi. È questo, in poche parole, lo spirito con il quale il giornalista Giuseppe Di Matteo si è approcciato alla scrittura di “Frammenti di un precario”, libro edito da Les Flaneurs Edizioni uscito in libreria nel dicembre 2019.
Classe ’83, giornalista, ma con la passione per la poesia, Di Matteo ha voluto raccontare, attraverso frammenti in versi, un percorso itinerante che indaga su una generazione in crisi. Una condizione esistenziale che attanaglia trentenni e quarantenni, imprigionati in una realtà quanto mai instabile e precaria.
“Questi frammenti – racconta l’autore – vogliono essere una polaroid che scatta parole: in essa sono contenute esperienze vissute da me e dai miei compagni”.
Il libro è, a detta dello stesso scrittore, “scritto da chiunque voglia leggerlo” perché i suoi contenuti sono ispirati a situazioni nelle quali è facile per molti riconoscersi.
La terapeuticità della scrittura e la straordinarietà della poesia come codice comunicativo immediato convolano a nozze tra le righe di questi frammenti, determinando un connubio letterario che se da un lato – come afferma lo stesso Di Matteo – “non vogliono insegnare nulla a nessuno, dall’altro riflettono la figura della precarietà moderna”.
“Questa precarietà trascende il precariato ed è qualcosa che oggigiorno ci sfugge dalle mani. Viviamo in un’era in cui non vi è certezza del futuro, in un’epoca che fa della precarietà una condizione permanente, nella quale l’individuo cerca di costruirsi qualcosa di stabile”, spiega Di Matteo.
Storia politica e fede le tre protagoniste del manoscritto. Ma cosa le accomuna? “Il viaggio che sottende un peregrinare esistenziale è senza dubbio l’elemento accomunante. La figura del migrante mi si addice molto perché, cosi come esso, io sono alla ricerca di una ridefinizione della mia identità, mai fissa, così come trapela dalle pagine del libro. Anche perché pure io sono dovuto andare via dalla mia terra d’origine, il Sud, con la quale ho un rapporto bivalente, di odi et amo come direbbe Catullo: vedo il Meridione come la mia terra nativa, che amerò per sempre, ma allo stesso tempo è una terra che rischia di spopolarsi, una terra, per citare Ungaretti, mia stella polare dal punto di vista letterario, in cui non cresce più l’uomo”.
La poesia come codice immediato e impegno civile. “È questo il motivo per il quale ho scelto di scrivere in versi che, però, essendo molto brevi, costituiscono una prosa velata. D’altra parte intendo la poesia come impegno civile, come fotografia di una situazione, che quindi dia voce a un’emergenza o a una particolare situazione che ci troviamo a vivere. Ho voluto, tramite questi frammenti, lasciare una “ferita aperta”, una serie di interrogativi, ai quali deve dare una risposta il lettore. Ho voluto quindi servirmi dei versi per suscitare emozioni”.
Cosa dire a un ragazzo che vuole approcciarsi al mondo del giornalismo? “Ad istinto direi di non intraprendere questa strada. Ma è pur vero che chiunque ha il diritto di farlo. Purtroppo è una professione in crisi, che a volte non dà i risultati che ci si prefissa, pur rimanendo un bellissimo mestiere. Oggi come oggi il giornalismo presuppone una vita di sacrifici”, conclude lo scrittore.