‘Martino’, l’altra faccia della medaglia criminale
Un ragazzo è seduto sul divano di uno psicologo. Sul viso l’espressione chiara di chi non ha alcuna voglia di essere lì dove si trova.
La seduta comincia con i peggiori auspici: da una parte il ragazzo (Danilo Napoli) che rivela la sua totale ostilità, dall’altra lo psicologo (Carlo Cutolo) che, prevenuto sulla possibilità di fornire alcun apporto, disegna anziché prendere appunti.
Attraverso una serie di flash-back, Martino (questo il nome del giovane paziente) comincia a sciogliere il ghiaccio: la maschera ingessata del bullo lentamente s’incrina. Non è un ragazzo come gli altri, Martino.
Lui, disilluso, non ha più sogni nel cassetto, «la vita si è presa il cassetto con tutti i mobili»: suo padre è stato arrestato sotto i suoi occhi innocenti di cucciolo d’uomo. Poi, una volta scarcerato, ha abbandonato lui e sua madre.
Di qui un’esistenza fatta di stenti, sua madre – «costretta a lavare i cessi» – riesce a garantire a malapena un pasto al giorno.
E così Martino quei cinquanta euro per fare la spesa li va a rubare. Non certo per farsi grande agli occhi dei suoi amici criminali, ma per necessità.
Eppure ha una grande passione, Martino: la recitazione, il solo modo «per essere come lui è davvero».
Il finale è apertissimo: cosa farà Martino da grande?
Il cortometraggio dal titolo “Martino”, scritto (a quattro mani con Nicholas Chico), diretto e prodotto dal giovanissimo talento salernitano Luigi Di Domenico, dietro la sua apparente semplicità, lascia davvero il segno.
Almeno due le frecce al suo arco: la potente sceneggiatura e l’efficace interpretazione del suo protagonista, Danilo Napoli.
Il cortometraggio è stato selezionato in parecchi festival della penisola e non solo, vincendo molti premi. Premi che, siamo certi, continuerà a ricevere perché il messaggio che vuole dare arriva dritto al cuore: per una volta cerchiamo di non salire in cattedra e giudicare. Apriamo la nostra mente e sforziamoci di andare alla radice del problema e alle motivazioni che portano certi ragazzi a certe scelte.
Perché – citando i due rapper NTO’ e Lucariello – qualcuno davvero “vorrebbe una speranza”. Perché magari, uno su mille ce la potrebbe fare.