Esclusiva SulPezzo.info: intervista a Paolo Borrometi
BARI – Durante i lavori del XVIII congresso della CGIL, a Bari, abbiamo fatto qualche domanda al giornalista Paolo Borrometi, presidente di Articolo21, direttore di LaSpia.it, collaboratore di Agi e Tv2000 nonché reporter minacciata dalla mafia (QUI il video integrale).
Domanda: E’ stata trovata l’intesa tra Landini e Costa.
Risposta: Io non ho nessun elemento per commentare l’accordo sotto il profilo sindacale, ma posso dire che il Paese ha bisogno di un sindacato forte, di una CGIL forte, perché la CGIL è una delle istituzioni, dei presidi di questo Paese. Abbiamo bisogno che l’unità nel sindacato possa sempre più far leva sulle decisioni della politica del governo e di chi ci governa.
D: L’Italia ma soprattutto la Puglia sono afflitte dalla piaga del caporalato e la CGIL è in prima fila contro questa problematica. Cos’altro si potrebbe fare per sconfiggere mafie e caporalato?
R: Io ho iniziato il mio libro parlando proprio di caporalato e delle donne sfruttate. Noi dobbiamo avere il coraggio di raccontare le storie di queste persone, la gente deve comprendere che i prodotti dell’ortofrutta spesso arrivano sulle loro tavole dallo sfruttamento di queste donne. E poi è tutto collegato, tutto si tiene: le donne sfruttate, spesso con metodi mafiosi, spesso da persone vicine o interne ai clan, fanno nei fatti la ricchezza delle mafie. Ecco perché la gente deve comprendere, ecco perché lo Stato si deve svegliare: non sbaglia la legge sul caporalato, ma serve una nuova coscienza civile.
D: Questo governo sino a poco tempo pensava ai giornalisti come qualcosa da “mangiare e vomitare”.
R: Io penso che ci sia un grande problema con la stampa in Italia, che non riguarda solo questo governo, ma riguarda almeno gli ultimi vent’anni, da quell’editto bulgaro di Berlusconi in cui vennero buttati fuori dalla Rai alcuni colleghi giornalisti. Il vero problema è che il giornalismo non deve mai piacere, il giornalista non deve mai piacere il potere o al potere, per un semplice motivo: perché un giornalista non può mai essere un cane da compagnia per chi ci governa, ma deve essere un cane da guardia della democrazia. Il giornalista deve essere un puntello conficcato nel fianco di chi ci amministra, di chi ha qualsiasi tipo di potere. Quindi che il giornalismo non piaccia non mi stupisce; che il giornalismo venga insultato in questo modo mi rammarica e mi addolora perché ci sono tante e tanti colleghi, come nel mio piccolo io, che cercano di fare semplicemente il proprio dovere e lo fanno spesso in condizioni di precarietà e con minacce drammatiche.
D: Cosa fare per aiutare questi colleghi minacciati, che spesso vivono sotto scorta?
R: Illuminare non solo le minacce che riceviamo, ma soprattutto le inchieste che scriviamo. Non ci minacciano perché siamo alti, bassi, magri o grossi, ci minacciano per le storie che raccontiamo, per le storie che raccontiamo con nomi e cognomi, per gli affari mafiosi, per gli affari sulla corruzione e sull’arroganza. Ecco perché ci minacciano, ecco perché il miglior modo è stare accanto a questi colleghi raccontando non solo le loro storie, ma anche le loro inchieste giornalistiche.
D: Tra i cittadini, quando accadono fattacci di cronaca, quello che impera è l’omertà, un problema comune in molte regioni del Sud Italia. Come cambiare questa forma mentis, questo scarso coinvolgimento alla lotta a mafie e camorra?
R: La gente deve comprendere che bisogna semplicemente fare la propria parte, essere cittadini e capire che girare le spalle alle mafie, agli affari mafiosi, vuole dire drammaticamente esserne influenzati ogni giorno.